Del perché apro un foodblog

Un po’ di tempo fa ho intervistato per Grazia Francesca Barberini. Lei, incinta di otto mesi, è stata deliziosa; sorridente, aperta, l’intervistata ideale. Anche quando, a una mia domanda ha risposto:

“I foodblog? Sono un po’ troppi. Ormai chiunque faccia una pastasciutta decente si sente in dovere di aprirne uno”.

Io ho annuito vigorosamente, con ampi cenni del capo. Come non essere d’accordo? Ma in realtà, poiché amo predicare bene e razzolare male (per esempio, tenendo corsi che suggeriscono di non usare frasi fatte e avendone appena scritta una delle più trite), stavo già pensando al mio foodblog.
Perché avevo in testa il nome: Fitu Faetu (si pronuncia fètu, con la e larga), che in genovese vuol dire presto fatto, fatto velocemente. Fa parte del mio lessico familiare da sempre. Io e mia mamma, quando arrivavamo a casa tardi (cioè sempre), non essendo use allo scongelamento coatto di cibi pronti e non avendo mai posseduto un microonde (per scelta, ci tengo a dirlo, non perché fossimo di Genova) ci dicevamo l’un l’altra: “Facciamo un sughetto fitu faetu?” E ci piaceva pensare che avesse le stesse iniziali di fast food, fosse altrettanto fast ma molto più buono e soprattutto meno dannoso per la salute.
Avevo il nome, dunque. E avevo (ho) l’esperienza, anche se mio malgrado. Insomma è da quando ho avevo davvero pochi anni (tredici? quattordici?) che cucino. Cucino per i miei genitori, per me stessa, per gli amici. Ora per marito e figlia. Invidio quelle che “Io cucinare? No, non sono in grado, compro tutto fatto, oppure lo fa lui”. Penso siano dei geni. Un’amica mi ha confessato di avere intenzionalmente bruciato un paio di pentole all’inizio della relazione con l’attuale marito, ottenendo così un rapido passaggio di fornelli da lei a lui. Invece io, con il candore e l’ingenuità che mi contraddistinguono, cioè tonta come sempre, sventurata risposi: “Ma sì che me la cavo in cucina, che ci vuole, certo, vieni da me che preparo io”. Finendo intrappolata in una teoria infinita di pranzi e cene e ansie da prestazione.

Per esempio, voi non vi sentite inadeguate quando, causa superlavoro o altri cataclismi, non avete il contorno? Ecco, io sì.

Ho l’inadeguatezza del contorno.
Nonostante lavori a tempo pieno, mi occupi di casa e figlia e, appunto della cucina, se qualcosa va storto mi sento una fallita. Ma questi sono problemi miei e questo non è un post di autonalisi per affette dalla Sindrome di Atalante. Devo dire però che anche se a volte la noia regna sovrana (maccheppalle, ma tocca sempre a me, ma io ho da lavorare, occristo mi sono dimenticata di scongelare il pesce e ora cosa faccio?), alla fine stare ai fornelli mi piace sempre. Mi piace farlo soprattuto quando ho tempo di, quando posso dedicarmici con calma. Allora sì diventa creativo, divertente. Rilassante, persino. Un vero atto d’amore verso i commensali.
E quindi mi sono detta, ma chi sono io per non avere un food blog? Con il mazzo che mi faccio quotidianamente per riempire frigo e piatti? E siccome la realtà della mia vita è più vicina all’occristo ho dimenticato di scongelare il pesce che all’oh che bello ho un intero pomeriggio a disposizione per il filetto in crosta e la Saint Honoré, saranno ricette veloci che condividerò qui. Dieci, venti minuti di preparazione. Sughi pronti mentre cuoce la pasta, secondi al volo e cose così. Foto fatte con l’iphone, rigorosamente a muzzo; a farle belle ci pensano le mie amiche foodblogger, quelle vere. Però tutto testato, provato, fatto e rifatto e soprattutto eseguito ed eseguibile under pressure.
E poi volevo uno spazio per condividere tutti gli eventi legati al cibo, le interviste agli chef che da qualche anno faccio per Grazia con molto piacere e tante altre belle cose.
E infine: no, non avrei tempo e se lo avessi dovrei usarlo per lavori retribuiti; sì, foodblog ce ne sono già troppi e non credo di avere qualcosa di così rivoluzionario da dire. Però lo faccio lo stesso; saranno i primi segni di ribellione senile.

20 pensieri su “Del perché apro un foodblog

  1. anche io sono stato inserito in diverse categorie di food blogger senza esserlo, perchè di fatto non lo sono mi diverto in cucina di quando in quando ma da lì a dire che lo sono ce ne passa ….:) …. ti lascio con una massima, che trovi sul menù di un ristorante di Sestri Levante, in francese che recita La buona cucina richiede del tempo. Ecco la sfida

    • Ma io ne sono convinta; sono convinta che la cucina, come tutte le grandi cose fatte con amore, abbia bisogno del suo tempo. Il mio obbiettivo è mettere insieme tutti i pezzi di una vita incasinata, cercando di mangiare bene e sano. La mia vittoria è una quattrenne che adora pesce, verdure e frutta, perché le ho sempre messe in tavola. Poi, certo; i grandi chef e i grandi piatti sono altre cose :)

  2. Io sono una di quelle negate-negate in cucina, ma mi sa che m’hai incastrato con la tua idea delle ricette da 20 minuti, quindi… Massì, ci provo.

  3. Ce ne saranno anche molti ma su wordpress no, da quello che ho letto, anche tra le righe, che non sei una “foodblogger” (quanto detesto questo termine ;-) ) qualunque, c’è “qualcosina” in più e quindi: benvenuta :-)

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